di NANDO MORRA*
ti rubo tempo con una “particolare“, atipica, lettera personale che mette insieme il “ tu “ e l’Autore. Parlo, al contempo, con l’amico Matteo, compagno d’arme, e “vedo“ lo scrittore a modo mio .
Ho letto “ Casomai…” con immaginabile partecipazione e coinvolgimento, nel verde e nella quiete del mio “buco” cilentano . Bellissimo. Più che un libro, un “lavoro” dell’anima. È impresa ardua definire una antologia fatta di avvenimenti, persone, sentimenti, idee e valori, caposaldi e sintesi di un percorso lungo e impegnativo in circa duecento pagine connesse con l’immateriale ma robusto filo rosso proprio del DNA. Certo, sorregge l’esperienza dello scrittore non neofita e del giornalista di alta caratura, ma sempre impresa grande è. Il libro è opera notevole. Complimenti davvero. Sei bravo.
Penso che un libro non sia solo esercizio di buona scrittura; nel caso, leggera, lineare ma intensa, capace di parlare alla testa e al cuore e, soprattutto, di indurre nei lettori emozioni forti che intrecciano il tuo vissuto e le tue esperienze, in qualche occasione, anche con mie personali assonanze. Ne parleremo.
Anche se carente di specifici accreditamenti culturali e accademici”, mi permetto ritenere il testo non solo un originale intreccio di rimembranze indelebili ma anche espressione di significativa “cifra“ letteraria. Questa opinione ha radici in mio profondo convincimento. Consentimi una digressione. Poi ritorno alla tua opera.
Spesso nelle mie molte vite e nel mio lungo cammino che ha attraversato il secolo con oltre sessanta anni di “vita pubblica”, mi capita riscontrare come, da tante parti, alcune “categorie sono ancora considerate sulla base di stereotipi stagionati e stantii per cui un medico, un ingegnere, un giornalista stesso, non può essere portatore, per definizione, di altri profondi interessi e specificità culturali o artistiche . Nemmeno a parlare dei “sindacalisti. Nella vulgata una categoria prigioniera di angusti schemi e forti limiti culturali. È per molti esercizio difficile immaginare che possono anche esserci, gli esempi sono tanti, politici o sindacalisti come degli “intellettuali atipici (anche considerando le università, differenziate per livelli di responsabilità, di Frattocchie, di Ariccia e anche della Verna nel Casentino per i DC…), formatisi come lettori appassionati (io, come te ragazzo…) a 360°; di avere letto e riletto classici, controclassici, russi, americani, contemporanei o di altri mondi. Ne conosciamo tanti; per me Maestri, da Trentin a Peppino Vignola a Antonio Lombardi, ex operaio ma un pozzo vero di cultura, a Lama, a Foa, a Bodrato, a Mario Ciriaco, Geppino Castaldo e tanti altri…
Ed anch’io come te e altri, non sono ”dottore”: per quattro esami non sono laureto in Economia… ho anche qualche trenta sul libretto che conservo, matricola 3068, Università allora in via Partenope… La CGIL mi assorbiva al midollo, poi a Roma e poi nelle Istituzioni… sono stato anche a lungo componente il CdA della Federico II e dell’Orientale, ma non ho mai pensato di utilizzare la posizione… Un errore “storico”, comunque, anche di presunzione. Ma anch’io ho studiato e letto tanto; ancora oggi i libri sono la mia passione… L’ultimo comprato il 13 agosto a “ Iocisto “: il tuo…
Libri non soprammobili ma quali testimoni del tempo e suscitatori di pulsioni reali derivanti, appunto, da continue e attente letture; oltre duemila testi nelle librerie di casa (tutti letti, compresi “La leggenda di Thyl Ulenspiegel“ e “Don Chisciotte“ che ancora troneggiano nella libreria centrale; meno, confesso, qualche tomo del Capitale, della Storia d’Italia e dello stesso Lenin…); proprio stamane ho fatto l’inventario, dopo aver chiuso con il tuo testo, dei volumi che abbiamo nella libreria al “buco“ cilentano: 80. Sarebbero 81 con il tuo ma lo porto dietro a Napoli… Una galleria, da Saramago a Boll, a Fante, Starnone, Marai, Rea, Baricco, ecc. ecc.
Persone che leggono o capaci come te ed è bello ritrovare identità anche… operative di raccogliere non solo libri ma di catalogare documenti e articoli. Circa 1300 oltre i dispersi (dal primo intervento scritto a mano, nel 1962 per il convegno CGIL sui “Tecnici nella industria elettrica“ a Parma ad oggi) classificati per anni e per temi . Oppure essere interessato da sempre alla musica ed all’arte, visitando i musei del mondo, maggiori e minori, o di dedicare le vacanze della estate 2019 alle città d’arte, grandi e piccole, della ex Germania Est o Polonia.
O di sostenere le arti visive, come ho fatto da rappresentante istituzionale, sostenendo l’Accademia, il Conservatorio e tanti giovani diventati nel tempo star internazionali della Foto d’Arte come Antonio Biasucci, Rafaela Mariniello, Gianni Fiorito e altri oggi assai noti o supportando mostre e aprendo la Mostra d’Oltremare agli allievi delle Belle Arti per la prima volta chiamati ad arredare il nuovo Palazzo dei Congressi con le loro opere scelte dai loro diretti Maestri. Esposizione pubblica meritata per giovani artisti.
Ancora: di avere battagliato con Luigi Compagnone (eravamo amici e mi ha passato tutti i suoi libri con dedica…) dalle colonne del “ Mattino “ per fare conoscere il capolavoro di Enzo Striano (Maestro di un giovanissimo Nando, accolto come cronista sportivo nella redazione dell’Unità, edizione Napoli),”Il resto di niente“, ignorato dalla cultura e dalla critica “ufficiale“, o anche le tante sollecitazioni pubbliche e private per John Fante, allora “milite ignoto“, oggi finalmente, ritrovato da tanti con Festival nel Molise dove nacque .
Tutto questo sproloquio è per farmi capire e per ribadire che pure senza essere, con il giusto rispetto, “accademicamente patentati “, ritengo possibile intervenire con qualche notazione di merito su un lavoro letterario o, come si è anche verificato, su alcune importanti mostre. Rientro in picchiata sul tuo libro.
Ecco, dico subito che il tuo lavoro, anche se con sintesi attenta che svela il giornalista di classe, esprime compiutamente la tua “identità“ complessiva e, insieme, le idealità e i valori che hanno radici solide e antiche e esaltanti (in primo luogo il Compagno Saul che, sai bene, stimavo molto ed al quale ero legato da affetto schietto ) e riesce a dare il senso di un percorso importante e impegnativo. Connota la “vita bella, intensa e appassionata“ (Luciano Lama) che emerge nella sua compiutezza dalle pagine nitide e dalla calibrata sequenza dei capitoli .Un film con colonna sonora di rara qualità e riscontro: la sincerità.
Quando un libro ti “prende“ e non si fa lasciare significa che “funziona“. E se funziona non è solo per i contenuti e temi non sorpassati ma di stringente attualità che propone e affronta con analisi dura ma anche pregna di umanesimo; suscita interesse in quanto è capace di innescare e donare emozioni .
Emerge la capacità di narrare, declinando al contempo ricordi, realtà, dolori, disincanto, riflessioni, esperienze positive o amare, con piena libertà intellettuale, politica e professionale; con la lievità di una scrittura trasparente e la forza della verità anche nel rivivere e proporre situazioni e passaggi di peso strategico e politico rilevante .
È questa tonica “leggerezza dell’essere“, da scrittore autentico per dirla con Kundera, che rende possibile proporre fatti e situazioni complesse, difficili, scomode, con la serena consapevolezza di contribuire alla conoscenza della verità: su tutto e tutti, avvenimenti, uomini, partiti .
I capitoli si presentano come gouaches che con colori, intensità e sfumature diverse, raccontano le “tue“ storie“ fatte di persone vicine o lontane, personalità autorevoli o semplici compagni e amici, cardini di una vita in prima linea, dalla Sezione Lenin alle redazioni, da giovane cronista precario e speranzoso alle responsabilità della direzione; dalla lotta politica anche sorda e ambigua, nel PCI sulle “liste di lotta“; dal positivo e poi conflittuale e difficile percorso di “Paese Sera” alla “emigrazione verso Sud “, alla “marcia“ di Reggio Calabria contro la criminalità e a sostegno delle Istituzioni.
Sfilano e si intrecciano in controluce ma con nette connotazioni, schizzi che interpretano con rigore intellettuale passaggi e momenti di vita vissuta e protagonisti e partecipi della “storia” personale dell’Autore: il ragazzo bocciato; Chiaromonte, sempre netto nelle posizioni, un dirigente politico da riconsiderare; Berlinguer, Napolitano, Gava con il riconoscimento e rispetto reciproco della valenza culturale e politica; Nonno con i suoi tardivi tormenti per il dramma di Giancarlo Siani; Mimmo Maresca vittima della solitudine politica; Pino, il “torinese“ e poi Luigi Vicinanza, Antonio Polito, Enzo d’Errico, Nora Puntillo, punte di diamante della valida “Scuola di giornalismo “ nata nelle redazioni napoletane dell’Unità e di Paese Sera.
Una galleria dove c’è anche Michele Santoro che deve tanta parte del suo successo alla incapacità dimostrata di potere essere un valido dirigente politico o direttore di giornale. La “punizione” da parte del PCI della Campania (ero, all’epoca, membro della segreteria) di… trasferirlo a Rai3 fu la sua fortuna insieme alla sua intuizione che era tempo del giornalismo tv di assalto più che di inchiesta.
Oltre la eccellenza narrativa e la cifra letteraria è da sottolineare la valenza culturale e politica del contributo alla verità che “Caso mai avessi dimenticato” apporta con assoluta nettezza critica alla comprensione di talune vicende “storiche“ che hanno investito il PCI della Campania. Lo stile narrativo dell’Autore declina con eleganza e senza infingimenti, le tensioni e le torsioni del gruppo dirigente del PCI napoletano e campano su tanti punti focali, togliendo impietosamente il velo agli opportunismi personali o del partito nel suo insieme. L’Autore ha il merito di non fare sconti; espone lasciando il giudizio al lettore.
Sono le questioni relative a Zangrandi-Badoglio-Palermo; di Francesco De Martino e Giulio; l’etica e la pulizia politica e morale di personalità come Chiaromonte, Mola e Amodio; il PCI e la Lega Cooperative; la storia dolorosa di Paese Sera e il Berlinguer che risponde a Cosenza ma appare in pantofole come celebrato da nota vignetta e altro.
Senza usare l’accetta ma con colpi precisi e secchi di fioretto come nel suo stile, Matteo Cosenza punta episodi, persone e dirigenti del PCI proponendoli nella loro a volte disperante realtà fatta di un mix di opportunismo e pseudo-rigorismo di facciata che insacca e ingabbia i problemi eludendoli e, dunque, aggravandoli e non risolvendoli.
Un lavoro importante, un libro dai pensieri schietti, tutto da leggere. Un romanzo di formazione, ma atipico e particolare in quanto interseca e intreccia il vissuto dell’Autore e un mondo di “infiniti mondi“: adolescenza, militanza, lotta politica, emigrazione, giornalismo, responsabilità istituzionali, cultura, società, Famiglia. Che non è ultima ma prima nella scala di valori di Matteo Cosenza. Lo dimostrano e confermano i richiami commossi al “Compagno Saul “, alla Madre, ad Anna compagna di una vita, la dedica ai nipoti. Cioè ai giovani perché abbiano e conservino memoria delle radici. Un libro anche per i giovani, da portare e leggere nelle scuole: per discutere e capire.
Ha ragione, dunque, Enzo d‘Errico nella fascinosa, essenziale eppure corposa prefazione quando scrive: «Immagino sia vicino il giorno in cui un ragazzo comincerà a sfogliare le pagine del libro e ne verrà rapito».
Recensione in forma di lettera ricevuta il 31 agosto 2020
* Nando Morra nella foto