Le parole sono al capolinea, forse sono esaurite. Il disastro dei trasporti si ripropone ogni giorno. Sapete quella cosa per il tutto? Beh, potremmo dire che i trasporti napoletani sono una sineddoche al contrario perché non sono una parte per il tutto ma finiscono con l’essere di fatto il tutto dal momento che interferiscono con la nostra esistenza nell’arco delle ventiquattro ore, delle settimane, dei mesi, degli anni. Uscire di casa per un qualsiasi motivo richiede ormai un progetto. A piedi, in auto, in moto, con il bus, con un taxi, con la metropolitana? E per quanto tu possa programmare sai che anche la più pessimistica delle tue previsioni può essere una vana aspirazione e divenire un incubo, un girone infernale, un inciampo grave che incide sul tuo lavoro, sulle tue attività, sul rapporto con gli altri, sul tuo equilibrio mentale. Parole al capolinea, altre se ne possono aggiungere? Sì, come ricordava l’altro giorno Maurizio de Giovanni nel suo «Caffè ristretto», occorre parlarne nonostante la monotonia, la ripetitività e, ahimè, la sensazione della loro inutilità. Qualche decina di anni fa mi occupavo di questi problemi per un altro giornale – il Corriere del Mezzogiorno non c’era ancora – e quotidianamente riempivo almeno una pagina con le cronache su trasporti, traffico, vigili e quant’altro. Dopo qualche tempo incominciai a provare il disagio della ripetitività ma un giorno un amico mi convinse che bisognava continuare.
Era il sindaco di un comune vesuviano e ogni mattina accompagnava in auto la moglie alla scuola del centro di Napoli dove lei lavorava: «Quando imbocco via Marittima e regolarmente resto bloccato vorrei mandare al rogo i responsabili, mi consolo con il fatto che aprirò il mio giornale e troverò la cronaca che racconta anche la mia odissea quotidiana». Benedetti giornali! Dunque, parliamone. Ancora una volta e non sarà l’ultima. Questa storia degli ammalati che mandano in tilt la metropolitana come altri loro emuli hanno ripetutamente fatto con le funicolari e altri sistemi di trasporto non è nuova. Non è inedita neanche la polemica che ne deriva: chi accusa e parla di sabotaggio e chi difende il diritto a restare a casa se malati, specie in tempi come questi. E si ripropone quasi come un cambio di stagione il sospetto che alla base ci siano rivendicazioni individuali non soddisfatte e la conseguente protesta non in forma di sciopero, che comporterebbe la perdita della remunerazione, ma di assenza per motivi di salute. Questa volta il sindaco ha detto il suo «basta» con toni e parole pesantissime specie se si ricorda che provengono da un ex magistrato; i sindacati all’unisono hanno replicato tuonando contro la gestione delle aziende, il mancato adeguamento degli organici e l’assoluta assenza di programmazione.
Polemica già sentita negli anni, solo che stavolta sembra di essere davvero alla canna del gas. La metropolitana delle meraviglie è come Napoli: miseria e nobiltà, splendore e volgarità. Saranno pure questo conflitto perenne, la dialettica e il contrasto i motivi del suo fascino, ma viverci è faticoso. Poi in questo periodo che ne parliamo a fare! Crolla tutto, gli alberi, i soffitti delle museali stazioni della metropolitana, delle Gallerie, le strade sono dissestate, il verde è un ricordo. Dopo la inevitabile riapertura del lungomare alle auto, si discute in queste ore di abolire temporaneamente le isole pedonali del centro e addirittura di riaprire piazza Plebiscito, luogo simbolo del Rinascimento bassoliniano che fu. E per restare al tema dei contrasti poi leggi notizie bellissime, nonostante i danni e le enormi difficoltà derivati dalla pandemia, come le iniziative teatrali, musicali, culturali, in definitiva la voglia cocciuta di ricominciare nonostante tutto. Ma è il sistema dei trasporti a prendersi la scena perché, è banale ripeterlo, esso mette in relazione le persone, consente le attività, favorisce o rallenta o blocca la vita della collettività.
La croce addosso agli ammalati sospetti? Solo per questo il sistema è un disastro? I treni sono pochi e si fanno i conti ogni giorno con i numeri delle dita di una sola mano perché è in atto un sabotaggio? Il personale è sotto organico per responsabilità dello Spirito Santo? Qualcuno contrasta la sosta in doppia fila e generalmente selvaggia che fa parte del panorama urbano come il Vesuvio? E poi hai visto mai che si faccia rispettare il codice della strada a un mezzo su due ruote, specie ora che si spacciano per biciclette elettriche moto a tutti gli effetti? E via a interrogarsi. Retoricamente, è chiaro.
Purtroppo, tutto questo è il risultato di una gestione approssimativa, alla giornata, in attesa di Godot. Che sarebbe l’entrata in circolazione dei nuovi treni della metropolitana. Speriamo presto e soprattutto auguriamoci che non si riservi loro la stessa sorte di quelli acquistati alcune decine di anni fa. Questa, ricordiamolo, è pur sempre la città dove i nuovi bus venivano cannibalizzati per riparare i vecchi. Quando ci sarà un po’ di normalissima ordinaria amministrazione, di gestione responsabile, di azioni virtuose e di fatti concreti? Se ciò avvenisse gli effetti positivi si vedrebbero anche dai comportamenti più virtuosi dei cittadini, che non sono senza colpe, ma i cattivi maestri se li scelgono loro.