BALCONE Quello di piazza Venezia? Quello di Rosina? Il sovrano? O il celeste? Quello dell’anima? O quello d’Oriente? E perché non quello in ferro e panciuto? Largo all’immaginazione. Ma poi ci affacciamo al balcone, se ce l’abbiamo, e se non è un balconcino lo trasformiamo anche in un parco giochi per i figli. In fuga condizionata dal mondo virtuale di dentro verso quello reale di fuori, grande o piccolo, luminoso o meno che sia. E cantiamo e suoniamo, un po’ sempre meno dei primi giorni. Stare al balcone può anche non significare fare gli spettatori e non partecipare.
CONTAGIO Ma che colpa ho io se così mi chiamo? Sono un sostantivo innocente, ma date a me la responsabilità di farvi ammalare, soffrire, morire, incenerire senza un saluto e una preghiera e sotterrare finanche in fosse comuni. Vi prego, aggiungete un aggettivo, una specificazione, per distinguere tra il contagio infettivo e il dannunziano “contagio dell’ardore e della generosità”, tra il contagio della pestilenza e il “contagio delle nuove opinioni” di Cuoco. Io posso trasmettere anche affetto, amore e cultura. Vi imploro, per carità: rispolverate un sostantivo desueto e dotto come la contagione che implicava l’infezione. Renderete un po’ più lieve la mia pena.
DISTANZA Geometrica o sociale? Più facile la prima anche per uno a digiuno di rette, punti, curve e taxi (per misurare servono anche questi). La seconda comporta almeno tre variabili: il luogo, le persone, il terzo incomodo. Quest’ultimo si sa è un invisibile viaggiatore il cui raggio d’azione e velocità ci è ignoto. Il luogo non aiuta perché tra lo stare in una strada o in un ascensore ne corre. Ah, poi ci siamo noi. Potendo bardati, ma non sempre. Meglio affidarsi alla geometria.
ECCELLENZA Stupore, meraviglia, incredulità. Maccaroni siamo e tali, noi napoletani, siamo condannati a restare, anche per molti conterranei altrove collocati. Un ospedale, il Cotugno, è un’eccellenza? Una stranezza, perché, a dirla con Corrado Alvaro, “un popolo come quello napoletano… passa per disordinato e tumultuoso per eccellenza”. Ma quella che faticano a scipparci è “l’eccellenza della pietà” (Torquato Tasso).
EROI Troppo facile. Bertolt Brecht: “Beati i popoli che non hanno bisogno di eroi”. Onore ai medici, agli infermieri e a tutti quelli che sono eroi perché non siamo un popolo beato.
FAME Ristoranti, pizzerie, friggitorie e pasticcerie chiuse, fila alle mense dei poveri. Nei primi si asseconda il palato, nelle seconde lo stomaco. In comune hanno il cibo, che, negli incubi ormai non solo notturni, fa temere che possano patire la fame gli utenti delle due tavole. La fame, lo spettro che da sempre si aggira nel mondo, da bisogno primordiale a dramma dei popoli. E ancora una volta il rimedio non saranno le brioches ma il pane.
FASE Ugo Tognazzi e Raimondo Vianello, dove siete? Un due tre, non ci raccapezziamo più. Siamo un motore non in fase, ancora non fuori fase, chissà quando e se in fase. A chi affidarci? Non a Ugo e Raimondo che giocavano, divertendoci, con i numeri e non con le fasi, piuttosto all’uomo dei campi di leopardiana memoria che per allontanare le disgrazie si regolava “colle diverse fasi della luna”. E ci azzeccava pure.
GREGGE E pensi alle pecore. L’immunità? Boh! Il gregge passava ogni giorno davanti alla mia casa di montagna quando la strada era ancora sterrata, ora è quello che tento di far vedere ai nipoti piccoli. I quali neanche immaginano che le “pecorelle” siano destinate a morire se prive di protezioni immunitarie da infezioni, e figurarsi se loro già sapessero che per nutrirsene le si ammazzano senza rimorsi. Anche noi umani come loro? Pecorelle smarrite.
LIEVITO Dacci oggi la nostra pizza quotidiana. Altrimenti ci arrangiamo. Purché non ci manchi il lievito. Che sparì all’improvviso e miracolosamente ricomparve. E, in attesa dell’arrivo di quella consegnata a domicilio, la pizza domestica, si sa guarnitissima, esalò caldi effluvi che profumarono le cucine. Confido che anche Riccardo Bacchelli, che ben si intendeva di farine e il cui mulino era, ahimè, meta primaverile di chi scrive, si sarebbe accomodato alla nostra tavola.
Mare Non tutti possono vederlo da vicino, ma quelli che possono non lo dimenticheranno. E faranno bene perché lungo le coste e nei porti, quando finirà, anche se non ridiventerà rapidamente quello di prima, ancora di nuovo i delfini non saranno a casa loro. Certo, ce ne vorrà per sporcarlo come sappiamo, ma l’uomo è bravo a costruire e bravissimo a distruggere. Chi vincerà? Balena permettendo, chiedere a Achab.
SCERIFFO Morto Sergio Leone, anche il western sembra finito. Ma una speranza che il genere non sia morto si è riaccesa, e dove se non alle falde del “Vesevo” per poetica antonomasia “sterminator”. Lo sceriffo è tornato per proteggerci dai nuovi banditi per definizione semantica cattivi. Lui, che ha la stella, li vede prima degli altri. Tornerà anche sugli schermi? Solo se Quentin Tarantino, che di Sergio tenta invano di essere figlio, scenderà dalle montagne innevate del Colorado per riscaldarsi un po’ nel paese d’ ‘o sole. De Luca è già sul set.
SOSPESO Non appeso a qualcosa. Interrotto temporaneamente. Per quanto non si sa. Volgiamo l’aggettivo al femminile e troveremo il sostantivo appropriato: la vita. Scrisse anni fa Percy Allum che Napoli era più attrezzata dell’Italia ad affrontare la “crisi” perché di essa si nutriva da sempre. Così pare per questo tempo sospeso nella città che ha inventato il caffè sospeso, la spesa sospesa e, da ultimo, l’abbraccio sospeso.
SPERANZA “Finirà”. “Ce la faremo”, “Speriamo”. Appunto, la speranza. La parola che ci accompagna nutrendo di fiducia l’animo. E Speranza, nomen omen, si chiama anche il ministro che deve proteggere la nostra salute. Un serio meridionale di Lucania, chiamato dal destino ad una prova fuori dalla portata di chiunque. Speriamo che faccia bene. Per lui. Per noi. Per tutti.
VACCINO O, a voi piacendo, Godot… Quando, se e come arriverà. In paziente per quanto trepida attesa. Mentre leggiamo e ascoltiamo parole esperte e inquietanti su trame e interessi mondiali attorno al futuro della nostra salute. Meglio consolarci con la speranza (di nuovo). Io, per esempio e per il momento, mi accontento del vaccino (l’aggettivo, non il sostantivo) commestibile, un saporito e genuino fiordilatte dei miei amati Monti Lattari.
VECCHI Vocabolo su cui non si scherza. Lo imparai all’età di dodici anni. Con mio padre stavamo sulla mulattiera che da Serrara scende alla Cavascura. Dal mare saliva il fratello del mio bisnonno, don Filiberto. Contadino, ben vestito, gilet e sigaro. Chiacchieravano. Qualche mese prima Jurij Gagarin era volato nello Spazio. Per il mio anzianissimo parente erano tutte invenzioni. Io, arrabbiato perché non sentivo obiezioni, dissi la mia. Non ricordo come ma papà mi zittì bruscamente e poi, una volta da soli, mi disse che occorre avere rispetto per i vecchi. Ora, taccio sgomento dinanzi alla strage dei miei coetanei?
VIRUS Stavamo rischiando l’assuefazione a quello dell’odio, poi… abbiamo intravisto il filo a cui la vita si aggrappa. Ce lo ricorda Italo Calvino: “I virus, i veleni, le radiazioni dell’uranio… il caso che governa la generazione umana che si dice umana proprio perché avviene a caso”.
Articolo pubblicato sul Corriere del Mezzogiorno il 26 aprile 2020