Sono italiano perché da bambino mi dicevano che lo ero.
Sono italiano perché sulla carta geografica, che la maestra aveva alle sue spalle, l’Italia mi sembrava una persona di famiglia.
Sono italiano perché Antonio Gramsci raccontava la storia dell’albero del riccio in una lettera dal carcere al figlio Delio.
Sono italiano perché quando facevo politica il mio partito comunista era italiano.
Sono italiano perché una volta all’Accademia Aeronautica di Pozzuoli misi a tacere il generale Broglio che parlava male dei suoi connazionali.
Sono italiano perché la pasta con le melanzane mi fa sognare e le lasagne verdi mi commuovono.
Sono italiano perché, nella notte della veglia per i venticinque anni dalla morte di Padre Pio, sul sagrato gelido della chiesa di San Giovanni Rotondo scoprivo una per una le coperte e raccoglievo le storie di fede di italiani e italiane di Genova e di Catanzaro, di Padova e di Matera, di Cuneo e di Catania.
Sono italiano perché è vero che il Sud fu maltrattato dai piemontesi ma è vero pure che lo maltrattavano ancora prima i Borbone.
Sono italiano perché venti anni fa nel parco dell’albergo di Stresa trovammo la fiancata dell’auto rigata: era targata Napoli.
Sono italiano perché Bossi è padano.
Sono italiano perché Cesare Pavese e Leonardo Sciascia erano italiani.
Sono italiano perché Fabrizio De Andrè ha gradito il café di don Raffaé.
Sono italiano perché Sergio Leone ha fatto i western meglio degli americani.
Sono italiano perché, a Pisa a quindici anni, piazza dei Miracoli mi sembrò finta tanto era vera e vera tanto era inventata.
Sono italiano perché dalla collina di Coreca ho visto il sole tramontare dietro Stromboli.
Sono italiano perché a quattordici anni scappai a Torino con la voglia di lavorare e mi aiutò Pino Clemente, ritrovato per caso, che era tanto povero da dormire nelle case di don Orione, e me lo nascondeva perché si vergognava.
Sono italiano perché a piazza della Loggia non trattenevo le lacrime e la rabbia davanti alle bare di otto italiani di Brescia uccisi da una bomba dei neofascisti.
Sono italiano perché Papa Montini pregò “in ginocchio” gli “uomini delle Brigate Rosse” affinché liberassero Aldo Moro.
Sono italiano perché a quindici anni andai al congresso nazionale della Fgci a Reggio Emilia e soprattutto mi spinsi fino a Campegine per abbracciare papà Alcide Cervi novantenne e farmi raccontare la vita dei suoi sette figli fucilati dai fascisti.
Sono italiano perché pur essendo napoletano non so cantare.
Sono italiano perché nel cantiere di Castellammare di Stabia venivano varate le navi più belle del mondo.
Sono italiano perché lavorare stanca ma senza lavoro si finisce nella disperazione.
Sono italiano perché a cena da “Ciccio di Pozzano” Pier Paolo Pasolini si preoccupava del cibo che servivano a Ninetto Davoli.
Sono italiano perché quando vidi Maradona entrare la prima volta al San Paolo fui certo che era un italiano dei quartieri di Napoli.
Sono italiano perché il “mio” paesino abruzzese fu raso al suolo dai tedeschi e gli abitanti non lo vollero più ricostruire.
Sono italiano perché in Irpinia vidi Antonella Chieffo che raccoglieva oggetti e ricordi tra le macerie della casa distrutta dal terremoto pensando di doverla ricostruire, come poi fece.
Sono italiano perché mi sono sentito sempre un cittadino del mondo.
Sono italiano perché una mattina mi sono svegliato al “Tragara” di Capri, sono uscito in pigiama sul balcone disegnato da Le Corbusier e ho mangiato un cornetto caldo guardando i Faraglioni che erano lì sotto.
Sono italiano perché mi ruppi il legamento mediale in Valtellina e l’albergatore si mise alla guida della mia auto il giorno di Capodanno e mi portò alla stazione di Milano dove caricò me, ingessato, la mia famiglia e l’auto sul treno per Napoli per poi tornarsene con un altro treno a Val di Dentro. E quando gli chiesi che cosa gli dovevo mi rispose: «Nulla. Lei non avrebbe fatto lo stesso per me?».
Sono italiano perché a Reggio Calabria ho visto i ragazzi che dicevano con gioia no alla ‘ndrangheta.
Sono italiano perché le poesie a memoria non mi piacevano ma Leopardi mi toccava il cuore.
Sono italiano perché ho per amico il trentino padre Giancarlo Bregantini che diffonde dalle Alpi alla Sicilia la poesia della fede, che a me manca.
Sono italiano perché ero così piccolo da non capire, ma sentii che a casa c’era un grande dolore per la tragedia di Superga e amai il Torino pur non diventandone tifoso.
Sono italiano perché parlo italiano nella mia terra e napoletano quando sono al Nord.
Sono italiano perché dopo ogni comizio davamo la pasta di Gragnano a Giorgio Amendola.
Sono italiano perché grazie ai patrioti del Risorgimento e ai partigiani della Resistenza vivo in un paese, nonostante tutto, ancora libero.
Sono italiano perché Michele Tito mi aveva assunto al Corriere della Sera, ma, tornato a Napoli, lo richiamai per dirgli che non abbandonavo la mia terra.
Sono italiano perché sono venuto a lavorare in Calabria, più a sud del sud dove sono nato, perché amo e odio questa terra, che è la mia terra.
Sono italiano perché l’Italia è tutta bella ma la Calabria lo è ancora di più.
Sono italiano perché stravedo per Sharon Stone ma Monica Bellucci è la fine del mondo.
Sono italiano perché non mi vergogno di usare, per non sporcare la cravatta, anche il cucchiaio quando mangio gli spaghetti.
Sono italiano perché qualche volta mi viene voglia di non fare la fila.
Sono italiano perché non sempre rispetto il codice della strada, ma non me ne vanto.
Sono italiano perché mi piace Alberto Sordi e Totò mi fa impazzire.
Sono italiano perché nessuno tocchi la mia famiglia ma rispetto quelle degli altri.
Sono italiano e di mamme ce n’è una sola e la mia è la più bella.
Sono italiano anche se non corro mai in soccorso del vincitore.
Sì, sono italiano.
*Editoriale pubblicato sul “Quotidiano della Calabria” il 17 marzo 2011 in occasione dei 150 anni dell’Unità d’Italia