Quando ho scritto l’articolo su Castellammare non immaginavo che potesse suscitare un dibattito e per di più così intenso. Non volendo, evidentemente ho toccato dei nervi scoperti anche se il pretesto, e sono sempre felice quando ne trovo, era stata la lettura delle cronache e dell’intervento del sindaco comunista Pasquale Cecchi in una seduta del Consiglio comunale del 1954, quando questi si oppose alla scelta della neonata amministrazione comunale democristiana di realizzare le Nuove Terme sulla collina del Solaro. Una curiosità storica, dunque, tant’è che questo mio scritto è stato ospitato nelle pagine di cultura. Ora ne scrivo non già per trarre conclusioni o dare risposte quanto piuttosto per ricavare da questo animato confronto riflessioni spero utili.
Al declino di Castellammare tutti hanno tentato di dare una spiegazione. Chi ha ragione? Io, potrei rispondere, ma non lo faccio non solo per pudore ma anche perché in ogni commento ho trovato un pezzo di verità, dalla datazione della svolta verso il peggio alle responsabilità politiche che hanno condizionato la vita amministrativa, dall’assistenzialismo pubblico ai vincoli non sempre necessari all’iniziativa privata, dall’urbanizzazione selvaggia all’asfissiante presenza della camorra. Una verità frammentata che può ritrovare unità nella nostra maestra di vita, la storia, che è tale per le grandi vicende ma anche per una “piccola città” che ha proverbialmente rappresentato un test di valore nazionale.
Castellammare è stata una città fortunata, diciamo “baciata” dalla natura, e qui apro e chiudo l’abusato ma veritiero ritornello. Ma l’hanno reso fortunata anche gli uomini. Per esempio, i Borbone che la tennero ben riguardata con scelte strategiche come il cantiere navale, divenuto simbolo e attrattore straordinario. Anche nelle fasi post-unitaria e della prima abbondante metà del secolo scorso lo Stato in primis le dedicò attenzioni particolari. Quando io frequentavo il liceo il tessuto industriale era ricchissimo. Molto e qualificato il comparto pubblico, come il ricordato cantiere che diede lavoro, assommandovi anche quello delle ditte appaltatrici, a oltre duemila persone, l’Avis, che riparava le carrozze delle Ferrovie dello Stato, la Corderia militare. La presenza privata era di prim’ordine, basti pensare ai Cantieri Metallurgici, alla Calce e Cementi, alla Cirio, la cui ex area è ritornata di moda per faccende poco commendevoli, alle attività artigianali, ai mulini e ai pastifici virtuosamente in gara con quelli delle confinanti Gragnano e Torre Annunziata. Su una popolazione di circa sessantamila abitanti oltre un sesto aveva un’occupazione e un salario sicuro nell’industria. E poi le Terme, vecchie e nuove, che avrebbero dovuto innescare lo sviluppo turistico, ma la loro esistenza, di cui hanno beneficiato più gli affitti delle case private e qualche albergo, è durata il tempo del termalismo sociale, anche questo finanziato e totalmente dallo Stato.
Perché ricordo schematicamente questi dati arcinoti? Per sottolineare che la peculiarità di Castellammare, della sua storia economica, industriale e soprattutto politica, scaturisce esattamente da questo contesto. Perché la città è stata fortemente connotata dalla presenza di una classe operaia che, mi sia consentita una reminiscenza marxiana, per effetto della sua funzione etica, intrinseca al ruolo di produrre beni necessari alla collettività, ha finito con l’irradiare proprio questa sua moralità nella società. La storia politica stabiese è stata egemonizzata per lungo tempo da questa componente, e non solo quella della sinistra, dove sicuramente è stata più rilevante, ma anche altre aree, come la Dc per quanto partito a vocazione interclassista.
Non sto qui a analizzare perché lo Stato e, con esso, i privati si sono via via ritratti mandando in crisi un equilibrio sociale e, conseguentemente, politico così definito. Dovrei parlare di questione meridionale (si può fare ancora?), della crisi della partecipazione statale nell’industria, delle politiche di indebitamento che hanno prosciugato le casse pubbliche e così via. Mi preme piuttosto tornare a bomba per sottolineare due fatti.
Il primo è che, prosciugandosi il bacino della base operaia, si è ridotto il suo peso politico e di quei militanti e dirigenti politici, ripeto di quasi tutti i partiti, si sono perse le tracce. Il secondo è che la sinistra, che da quella prateria ricavava la sua ragion d’essere, si è un po’ alla volta caratterizzata come una forza di governo che, mentre viveva in ragione dell’eredità di quel patrimonio umano, politico e culturale, aveva le mani libere per agire. Non che siano mancate fasi e iniziative di utilità per la città – ci sono stati anche buoni sindaci e amministrazioni valide -, ma le linee di tendenza generali mi sembrano queste.
In questo scenario si deve ricordare la presenza della camorra. Che c’era anche prima, con codici diversi ma c’era. Quando si indebolisce il cordone “sanitario” pubblico – e qui ognuno può individuare le date che preferisce e suddividerle tra svolte o continuità – la camorra dilaga e da questuante diventa protagonista e onnipotente. Penso, ripescando dalla memoria, alla battaglia, vinta almeno per quella fase, che prima del terremoto del 1980 fu condotta contro le infiltrazioni nelle ditte appaltatrici dell’allora Fincantieri. Si arrivò anche a far esplodere una bomba davanti al Supercinema dove si doveva tenere una manifestazione del Pci proprio contro questo assalto dei delinquenti alla sua fabbrica-simbolo.
In conclusione, torniamo indietro? Non si deve né si può. Siamo in un’altra città, politicamente, socialmente, economicamente, culturalmente, direi antropologicamente. Il passato appartiene alla storia più che alla nostalgia. Dobbiamo, però, sapere che cosa e come eravamo e come siamo ora. Noi, il paese e il mondo. Stiamo parlando di un tempo in cui non c’era il computer e gli immigrati eravamo ancora noi e qualche comunità rom di passaggio. Ma chissà che di quella storia almeno una lezione ci rimanga: senza il lavoro una società è povera. Povera non solo di cose, ma di energia e di moralità. E sarebbe opportuno che di questo si rendano consapevoli i giovani.
Articolo pubblicato l’11 giugno 2020 sul Corriere del Mezzogiorno