Appartengo a una specie protetta, quella degli anziani e dei nonni. E vivo giorni amari. Vedo cadere amici carissimi, l’ultimo, Carlo Franco, se n’è andato all’improvviso benché lottasse l’ultima inutile battaglia da qualche giorno nel letto di un ospedale, sono saltati per sempre gli appuntamenti che ci eravamo fissati appena pochi giorni fa, neanche la possibilità di dargli l’ultimo saluto come insieme abbiamo fatto purtroppo tante volte, l’ultima ai funerali di un altro gigante del mestiere, Luigi Necco: una privazione grandissima per me, figuriamoci per i suoi cari. E un altro amico, compagno di una vita, sempre presente in tutti i momenti importanti pubblici e privati, combatte in un altro ospedale e mi tiene nell’ansia e nel timore di una telefonata atroce.
Penso all’isolamento fisico, visivo, acustico di chi viene colpito e isolato e ai familiari soli e disperati in attesa di notizie, sempre centellinate e raramente rassicuranti. Ma soprattutto, e ne scrivo perché va al di là della testimonianza personale, c’è il rischio che nel senso comune si consolidi l’opinione che tutto sommato gli anziani la loro vita l’hanno vissuta e che se qualcuno deve pagare è meglio che tocchi prima a loro. In questa terribile teoria, intendiamoci, c’è anche del razionale perché essa si allinea pragmaticamente al corso della vita, al suo inizio, sviluppo e esito. Del resto, è naturale che i figli vedano la morte dei genitori, non lo è ed è insopportabile che siano i padri a piangere i figli. Pur tuttavia sappiamo che la civiltà di una comunità si misura dal modo con il quale tratta i bambini e i vecchi, e naturalmente i deboli e i malati. E la nostra è sicuramente una civiltà degna di definirsi tale perché, al di là delle contraddizioni, il modello di società è stato orientato molto in questa direzione. Anche in questi giorni, perché negli ospedali un esercito di persone lavora, si sacrifica e mette a rischio più di chiunque altro la propria vita per salvare la vita di altri, anche di tantissimi anziani che entrano nel loro tunnel dal quale, per un nemico infido e per ora invincibile, non riescono sempre o quasi mai a uscire. La sanità pubblica, al di là di quello che non ci va e che critichiamo ogni giorno, è un vanto del nostro paese e risponde appunto all’idea di società giusta, equa e solidale appena ricordata.
Siamo in un tempo complicato, ma il prossimo, quello immediatamente alle porte se non già iniziato, sarà difficile per tutti. E ognuno dovrà fare nel suo piccolo o nel suo grande la sua parte. Senza mai cadere nella tentazione di pesare la morte. Anche perché su quella bilancia ci saliremo tutti. Poi a chi tocca tocca.
21 ottobre 2020