Quando si fa una premessa generalmente si sa anche inconsciamente che in quello che si sta per dire può esserci un pregiudizio, ma voglio correre questo rischio. Dunque, il sindaco Luigi de Magistris, ormai in vista del traguardo dei dieci anni di governo di Napoli, ha messo sulle spalle del vicesindaco Alessandra Clemente la responsabilità di chiedere ai cittadini di darle la fiducia per amministrarli per chissà quanti anni ancora.

Primo: in quello che sto per scrivere non c’entra neanche lontanamente il fatto che Clemente sia una donna, spero che tante donne possano assumere dappertutto responsabilità che spesso noi maschi abbiamo dimostrato e dimostriamo di non meritare.

Secondo: il fatto che sia la figlia di Sandra Ruotolo – e qui la premessa vale paradossalmente al contrario -, pur avendo condizionato sempre il mio giudizio, deve essere messo da parte. Che la mamma sia stata uccisa dalla camorra va sempre ricordato ma non può essere un titolo per assumere incarichi di tale responsabilità.

Dunque, il giudizio sulla designazione demagistrisiana deve essere scevro da qualsiasi condizionamento che non sia quello dei meriti amministrativi dell’interessata. E questo giudizio, almeno il mio, non è positivo. Esso deriva esattamente dal fatto che in tutti questi anni lei non è stata solo la bandiera del sindaco ma anche il suo braccio destro. Non è facile trovare assessori che abbiano mai avuto tanti e così delicati ruoli. Incarichi di sostanza, non di facciata, non marginali. Di fatto la valutazione del lavoro di de Magistris è esattamente riproponibile, a parte aspetti caratteriali, sul suo principale collaboratore. E poiché questa valutazione nasce dall’esame dello stato della città essa è, purtroppo per noi napoletani, molto negativa. Lo stato comatoso dei servizi fondamentali, il disordine finanziario, le condizioni delle aziende collegate al Comune, gli aspetti pratici della vita dei cittadini sono dati oggettivi ormai riconosciuti a tutte le latitudini. Va detto che questo decennio amministrativo fa seguito al precedente e lo ha solo drammaticamente peggiorato. Tant’è che oggi a Napoli non serve solo un buon sindaco ma anche una svolta profonda nel modo di amministrare e di rapportarsi ai cittadini e alle altre istituzioni. Dunque, con Clemente non si vota un nuovo sindaco ma si conferma il suo lavoro in perfetta e prolungata sintonia con il sindaco che se ne va.

Infine, una nota comportamentale o, se preferita, politica. Questa indicazione ha il segno del sovrano che decide il suo successore. In tal modo il “sovrano”, non potendo per motivi di legge continuare direttamente la propria opera, indica una soluzione che ne assicuri la continuità. Non c’è nulla di strano, solo che di fronte alle rilevanti difficoltà della città, aggravatesi da questa primavera per l’insorgere di un evento drammatico come la pandemia, sarebbe stato più saggio aspettare e cercare di trovare con altri la soluzione più valida e unitaria possibile. C’è solo da sperare che questa più che una scelta non sia una mossa tattica per spendere il nome della Clemente in un gioco che potrebbe farla passare in secondo piano: una pedina, insomma. Forse non sarà così ma se lo fosse sarebbe davvero sgradevole.