Che scandalo quell’albero di Natale di ferro! Che guaio aver scherzato con la sorte impedendo la realizzazione del “corno” più grande del Colosso di Rodi! Ci consoliamo con una pizza da quattro euro, dopo aver fatto una scorpacciata di baccalà che, se abusato, può anche disturbare, e in attesa di addentare bocconi di mozzarella di bufala incuranti del latte che cola dal mento. A seguire si spera in una rivincita in grande stile del per e ‘o musso con succo di limoni di Sorrento e sale abbondante o in una colata di soffritto statutariamente piccante semmai con versione di spaghetti conditi con il medesimo sugo. Poi ci sarà tempo per prendere in considerazione la cucina di mare e, con il dovuto riguardo, Sua Maestà il Sartù.
La città dei tavolini, selvaggi e autorizzati, brinda al turismo ritrovato non solo nell’accorsato lungomare, dimenticando spazi deputati alla bisogna come la Mostra, ma anche in ogni piazza, strada e vicolo dalla pianura alla collina perché la Napoli obliqua ha trovato una comune identità nel rendere privati gli spazi comuni, grandi o piccoli che siano, in virtù del bene primario del commercio e incurante del diritto alla quiete dei residenti e delle pesanti ricadute sul traffico già congestionato di suo.
Il “nocchiero” Manfredi, che inaugura la qualsiasi, lascia correre non si sa se per bypassare le decisioni, permissive o proibitive non fa differenza, che sono sempre impopolari per una parte o per l’altra, o perché convinto che la fiera di sagre, friggitorie e movide sia un fattore decisivo della ripresa economica e sociale della città dopo anni difficili. Governare è un mestiere complicato. Il valore spesso risiede nei no piuttosto che nei sì o peggio nei silenzi. Sarebbe impietoso ricordare che il sindaco del Rinascimento per prima cosa chiuse piazza Plebiscito nonostante una folla di automobilisti infuriati perché impediti di attraversarla o per collaudata prassi di deporvi in sosta la propria appendice veicolare. Altri tempi, altre storie e, va detto, anche altri errori.
I confronti servono a poco, ogni sindaco ha la sua cifra, poi contano i fatti che devono seguire alla speranza del cambiamento, dopo che su chi ha preceduto si è detto peste e corna. Qualche dubbio sorge spontaneo se l’alternativa alla linea del lasciar correre di passata memoria è quella del numero chiuso nelle striminzite spiagge libere e controllato dagli esercenti balneari che è come – letta su un social – affidare a Dracula la gestione dell’Avis, o di fare la parata dei vigili se è di passaggio qualche ministro. E lasciamo stare i nodi da sciogliere nella distribuzione di incarichi quando la morsa del caleidoscopio di liste e interessi, decisivo per la vittoria plebiscitaria, si trasforma in una invalicabile linea Maginot.
Allo stato delle cose un cittadino che legge annunci di grandi e affascinanti programmi e che nel frattempo soffre di tutti i disagi di una città disorganizzata mentre sul lungomare si banchetta con primo, secondo, contorno e cocomero, può solo dire al suo sindaco, che l’abbia votato o meno, di amministrare con coraggio anche a costo di scontentare qualcuno. La sindacatura è ancora lunga e c’è il tempo per ridare vento alle vele prima che mestamente si affloscino. E servono anche esempi che diano concretamente il senso del cambiamento tanto atteso. Però senza cialtronerie – mi perdoni d’Errico se gli rubo il termine – come quella di consolare Daniel Auteuil scippato di un Patek Philippe di 39 mila euro con un orologio di un centinaio d’euro con l’efffiige di Pulcinella accompagnato da una plateale risata dell’assessore che avrebbe fatto piangere la nostra maschera più famosa.
*Articolo pubblicato il 30 giugno 2022 sul Corriere del Mezzogiorno
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