Ci deve essere un motivo se cento anni dopo ancora serve ricostruire storicamente eventi che, grazie alla medicina del tempo, dovrebbero essere acclarati. È la prima riflessione nel leggere il libro di Antonio Ferrara, il giornalista stabiese che già in passato si era occupato dell’argomento anche per conto del Comune (Violenze e fascismo nel Napoletano-Il caso di Castellammare di Stabia: Piazza Spartaco 1921-2021, editore Francesco D’Amato, pag. 240, euro 16). Una lastra marmorea posta sulla facciata del Municipio nel 2001 ricorda che quello spazio un secolo fa sanciva l’intitolazione della piazza Municipio a Spartaco da parte dell’amministrazione rossa. Ma evidentemente c’è ancora bisogno di verità, di passare, come scrive l’autore, dalla memoria alla storia. Di quella giornata sono rimaste le macerie, i morti, i feriti, gli arresti e un processo dal quale tutti gli imputati uscirono assolti. Ne scrivo sapendo che quella storia è patrimonio anche divisivo di tutti gli stabiesi, probabilmente di una certa età, come ho potuto constatare su queste colonne a inizio anno quando un collega e concittadino, Gimmo Cuomo, l’ha raccontata diversamente da me. E nel libro di cui parliamo intuisco che lo spazio dedicatogli sia anche forse uno dei motivi per cui è stato scritto.
Ferrara ha raccolto i materiali grazie a un lungo lavoro certosino presso l’Archivio di Stato di Napoli consultando e pubblicando documenti, articoli, memoriali. sentenze con relativi dispositivi e perizie, dando conto di tutte le posizioni, non esclusa quella del fascista Piero Gerace e del suo “Diario di uno squadrista”. La domanda ricorrente è una: chi sparò uccidendolo al maresciallo dei carabinieri Clemente Carlino a cui seguì la “fucileria” che lasciò sul selciato altre cinque vittime, di cui tre operai? Quale fu l’antefatto? Da qualche mese a Palazzo Farnese si era insediata una giunta socialista, minoritaria perché il partito popolare di Silvio Gava non volle allearsi con la destra fascista, e aveva approvato delibere “rivoluzionarie” (bolsceviche per gli avversari) soprattutto in tema fiscale colpendo i ceti più agiati e favorendo quelli popolari in un clima di confusione tra scelte ammnistrative e ingerenze politiche e sindacali smisurate. Le tensioni già profonde esplosero quando il Comune deliberò l’intitolazione della piazza a Spartaco in onore dell’omonima Lega dei rivoluzionari tedeschi Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg. La reazione della destra, locale e provinciale, non si fece attendere.
Una manifestazione con corteo fu promossa per il 20 gennaio. Le autorità di polizia prevedendo incidenti imposero ai manifestanti un percorso che doveva circumnavigare la piazza del Municipio. Non andò così perché mentre dentro e fuori Palazzo Farnese si trovavano centinaia di persone pronte a difenderlo, il contatto ci fu dopo che dall’alto di un edificio partirono dei colpi di pistola, uno dei quali colpì alla testa il maresciallo Carlino che stava parlando con il vicesindaco Pasquale Cecchi. Chi aveva sparato? Dal Municipio o da una terrazza del palazzo del Seminario dove era stato visto un noto fascista, Andrea Esposito detto Raimo? Anni dopo, il 20 gennaio 1932, in occasione della posa di una lapide in memoria di Carlino, in un articolo de “il Mattino” venne rivendicato a tale “Raimo, “comandante la squadra di azione del Fascio di Stabia”, il merito di aver preparato e condotto l’assalto a Palazzo Farnese e fu scritto che «la morte di Carlino stabilisce la data storica per l’avvento del fascismo in quella contrada… la piazza fu conquistata, la città fu consacrata al Fascismo… i fascisti napoletani con Aurelio Padovani erano a Castellammare a fare magnifica prova di solidarietà a testimonianza precisa che niente poteva fermare il passo dei legionari di Benito Mussolini». Almeno questa verità storica, come la raccontarono i vincitori di allora, si può dire acquisita.
Ferrara ricostruisce una per una, atti giudiziari alla mano e materiali inediti, le testimonianze dell’una e dell’altra parte. Significativi i memoriali inediti scritti da Cecchi, che poi fu sindaco dopo la Liberazione, dai due carceri in cui fu subito ristretto insieme a tutta la giunta comunale e a centinaia di “compagni” che si erano asserragliati nel Comune: una testimonianza rilevante perché quel proiettile che uccise il carabiniere forse era diretto a lui. Le indagini andarono in una sola direzione ma ciò nonostante tutti gli imputati, come si legge dalle due sentenze – Corte di Assise del 3 ottobre 1921 e Corte di Appello del 10 luglio 1923 -, furono assolti perché non si trovarono prove a loro carico.
L’altra verità storica che si ricava da quei fatti è tutta politica. Si scontrarono in una città del Sud, come avvenne in altre parti del paese, lo squadrismo fascista e una sinistra che, con le sue contraddizioni, divisioni e tante avventate fughe in avanti per quanto idealmente esaltanti, si indeboliva isolandosi e spaventando i ceti moderati. Il “biennio rosso” era ormai alle spalle e da Bologna a Castellammare fu l’ora della resa con la violenza dei comuni amministrati dai socialisti e comunisti, un’altra tappa dell’avanzata irresistibile del fascismo.
*Articolo pubblicato sul Corriere del Mezzogiorno il 21 ottobre 2021