Come da tradizione, quella notte era destinata all’affissione dei manifesti. Era venerdì e a mezzanotte era stata chiusa la campagna elettorale, bisognava andare a dormire ma a quel tempo non si usava e ognuno cercava di ricoprire quanti più tabelloni e muri in un tripudio di simboli, prevalenti la falce e martello del Pci e lo scudo crociato della Dc. All’incrocio di via Regina Margherita con viale Europa ci ritrovammo schierati noi comunisti da una parte e i democristiani dall’altra. Tensione alta, non era chiaro il motivo, di sicuro era forte la voglia un po’ guasconesca di prevalere. Ed era evidente la preoccupazione dei dirigenti dell’uno e dell’altro fronte anche perché tra i galoppini, molti pagati, della Dc e tra qualcuno dei nostri non si aspettava altro che di venire alle mani. Non mancavano teste calde. Tra noi c’era “palla ‘e sciore”, un pregiudicato che compariva solo dopo il comizio di chiusura delle campagne elettorali per dare una mano a quello che diceva era il suo partito. Cacciarlo? Non era semplice, in ogni caso si sapeva che come era comparso all’improvviso, così il lunedì sera, a schede scrutinate, sarebbe sparito. Fatto sta che platealmente mise le mani in tasca ed estrasse una “cordamiccia” agitandosi per innescarla con la brace di una sigaretta e minacciando di lanciarla sugli avversari. Si evitò il peggio grazie a un dirigente con le spalle solide e, sull’altro schieramento, al parlamentare calato da Gragnano.
Castellammare viveva di pane, lavoro e politica. Nelle fabbriche non c’era spazio per i delinquenti, sarà così per decenni e quando al tempo del terremoto la camorra tentò di mettere le mani sulle ditte appaltatrici del cantiere navale la difesa fu tanto granitica che un sabato mattina la città fu svegliata dalla bomba che esplose al Supercinema dove doveva tenersi – e si tenne! – una manifestazione del Pci annunciata da un manifesto che a caratteri cubitali intimava: “Giù le mani dal cantiere”. Non che la camorra non ci fosse stata nei decenni precedenti, essa era rigorosamente confinata nell’angolo benché alcuni suoi esponenti svolgessero attività bene in vista, anche alberghiere, e ambissero a loro modo al “rispetto”. Ma il rispetto, per dirla tutta, ce l’avevano, anche loro, per i partiti, i sindacati e le altre organizzazioni del tessuto democratico, in uno strano sistema di convivenza.
Poteva accadere che il futuro boss antagonista e sconfitto del clan D’Alessandro, Mario Imparato, addirittura svolgesse attività politica prima di dileguarsi nei boschi tra Quisisana e Pimonte dove trovò la morte. E ancor prima che il futuro suocero del boss di Torre Annunziata venisse incautamente proposto come funzionario di partito mentre scriveva sonetti politici. E si potrebbe continuare.
Un po’ ci giustificavamo ricordando spesso una frase attribuita a Togliatti: siamo un fiume in piena che lungo il suo corso accoglie di tutto ma via via si depura e arriva pulito e trasparente alla foce… Un giallo fresco di stampa, “Il comunista” di Angelo Mascolo, ambientato nella settimana delle elezioni politiche del 1948, ne racconta qualche frammento.
Che c’entra questo amarcord con i fatti di questi giorni? L’arrivo della commissione di accesso agli atti del Comune è un vulnus per la città. Si vedrà quanto ci sia di vero nel sospetto che le attività amministrative siano condizionate dalla camorra, ma l’immagine che viene fuori dalle inchieste di questi anni, propedeutiche alla decisione del prefetto Valentini e del ministro Lamorgese, è quella di una città di camorra. Se un clan da tre generazioni spadroneggia in ogni direzione, dominando da un quartiere collinare trasformato in una fortezza inaccessibile, qualche domanda bisogna farsela: sullo Stato, sul Comune, sugli imprenditori, sulla politica, sui cittadini, sulla scuola. Mentre le terme restano chiuse, le acque minerali sono a rischio, l’industria è abbarbicata al suo cantiere-simbolo, l’antica fertile campagna è ridotta al lumicino dalla disordinata e spesso selvaggia espansione urbanistica, un capillare sistema di tangenti è un normale fattore dell’economia e minacce e perfino due omicidi hanno investito il mondo della politica e del Comune, da anni una battaglia più sotterranea che pubblica è in corso sul destino delle aree dismesse, specialmente quelle in prossimità del mare dalle parti di via De Gasperi: una vicenda su cui si sono giocate, vinte e perse tante campagne elettorali. Che quegli spazi, così appetibili, debbano essere utilizzati non ci piove ma l’incognita è su che cosa e come fare e chi debba tenere le redini del comando. Gli squarci che le recenti inchieste giudiziarie hanno gettato sull’operazione non lasciano tranquilli.
In uno scenario di progressivo decadimento della città e di incertezze sul suo destino si registra una presenza della camorra, non più ai margini ma soprattutto dal terremoto in avanti asfissiante e insopportabile anche se ad essa, fatta salva l’iniziativa meritoria ma ancora inadeguata degli apparati dello Stato e la schiena diritta di tanti sindaci e amministratori, in qualche modo ci si è fatto il callo.
Il simbolo di questa deriva dell’etica pubblica è in quanto accaduto nell’ultimo Consiglio comunale, la proverbiale goccia che ha portato alla nomina della Commissione d’accesso, quando il neo eletto presidente del Consiglio comunale ha elogiato il padre, un camorrista a termini di legge. Le sue parole non sono l’aspetto rilevante perché un figlio che ricorda il genitore, dei cui errori non porta responsabilità, può essere criticato ma anche umanamente compreso. Di grave c’è stato l’applauso dei consiglieri di maggioranza. In quella sala dedicata a Falcone e Borsellino era l’ultima cosa che doveva accadere.
La città, promette lo stemma comunale, deve risorgere. Con un bagno di verità. Si è troppo lasciato correre, lo si faceva anche in quel tempo di cui scrivevo all’inizio, ma, pur tra contraddizioni, esisteva un presidio democratico forte e articolato. Quando la camorra decise di non stare più alla porta ma di scendere in campo con crescente spregiudicatezza e prepotenza – Castellammare vantò anche il primato di un consigliere comunale “giustiziato” in quanto capo locale della Nuova Camorra di Cutolo – tra paure, complicità e sottovalutazioni si è intrapreso un cammino più che accidentato. E tutto questo è intollerabile in una città baciata dalla natura e storicamente resa vitale dalla passione e dalla maestria dei suoi abitanti. Sui social imperversano con successo gruppi che ricostruiscono non senza nostalgia per immagini e documenti il passato. “Libero Ricercatore”, una banca della memoria attivissima, ha pubblicato una foto della Villa Comunale splendidamente ombreggiata da un “bosco” di platani. Dava fresco, stimolava identità, invitava a stare insieme in quello spazio della cultura, della politica, della vita. Pure quello ora è un dolce e amaro ricordo.
*Articolo pubblicato il 29 maggio 2021 sul Corriere del Mezzogiorno