Con la discesa in campo di Sergio D’Angelo, ultimo in ordine di tempo dopo Alessandra Clemente e Antonio Bassolino, a sinistra c’è, potrebbe esserci, una folla di candidati a sindaco di Napoli, dove quel condizionale è legato al filo sottilissimo dell’eventualità di qualche “riconciliazione” in corsa o nel probabile ballottaggio. E naturalmente ci sarà un quarto, il candidato di Pd e Cinquestelle, o perfino, ipotesi allo stato più vaga, un quinto se questi all’ultimo momento dovessero prendere strade diverse. Dunque il Pd ha un problema politico prima ancora che elettorale. Finora è stato attento soprattutto a procedere con passo felpato tra le contraddizioni interne, gli accordi sulla scacchiera nazionale e innanzitutto la convivenza con De Luca, ed esterne, la complicata interlocuzione con i Cinquestelle . In questo estenuante lavorio, quasi la costruzione di un traballante castello di carte, ha chiuso molte porte. In una logica di ammiraglia ha fatto capire a tutti: al centro ci siamo noi, voi siete pedine, o vi acconciate alla bisogna o non andrete lontano.
Un messaggio che forse è stato ascoltato con attenzione da Alessandra Clemente, candidata da de Magistris ancora prima dell’apertura dei giochi. Lei ora si trova in una condizione non facile: quando fu lanciata dal sindaco questi era ancora sulla piazza, ma poi, con un colpo, va detto, geniale e, forse, anche vincente, si è candidato alla presidenza della Regione Calabria dove è in piena campagna elettorale per cui la sua presenza e il suo sostegno saranno oggettivamente ridotti. Chissà se quando sono circolate voci a proposito di un eventuale suo ritiro non sia stata questa preoccupazione ad alimentarlo.
Quanto a Bassolino il Pd ha rotto i ponti definitivamente con lui. L’ex sindaco era stato beffato cinque anni fa quando, sbagliando, partecipò alle primarie, poi da lui stesso definite generosamente “farlocche” al punto da ritenere irripetibile un’esperienza del genere. In tutto il tempo in cui Bassolino faceva intendere che sarebbe sceso in campo i dirigenti a vario titolo del Pd lo hanno prima ignorato, poi hanno iniziato a blandirlo: torna a casa, sei una risorsa e via complimentando. Lui ha pensato che fosse un modo per irretirlo costringendolo poi ad accettare e sostenere le loro soluzioni che chiaramente avrebbero teso ad accantonarlo, insomma una trappola. E così, tra avvertimenti e segnali, si è andati avanti per mesi fino alla sua decisione – è pur sempre uno dei fondatori del Pd – di candidarsi.
Infine Sergio D’Angelo. Anche questa era una candidatura annunciata da mesi. E che il numero uno del Terzo Settore, una persona esperta, di pluridecennale esperienza e di provate capacità non ne impedisse la circolazione era un segnale chiaro. Poteva essere sentito. Almeno ufficialmente c’è stato il silenzio che non si sa quanto giustificato dalle precedenti e da tempo concluse collaborazioni con de Magistris. In tremila, si sa, hanno sottoscritto un appello per chiedergli di candidarsi e lui lo ha fatto.
Un problema politico prima che elettorale. Tre candidati, in particolare Bassolino e D’Angelo, di grande spessore e storia, “gente di sinistra” come li definisce Luigi Roano sul Mattino, che se ne vanno per conto proprio, “si allontanano fino a diventarne avversari”. Il Pd punta al campo largo, una sorta di casa per più fedi, ma poi abbandona vaste aree della prateria nella quale dovrebbe trovarsi il suo popolo. Lo ha fatto già cinque e dieci anni fa regalando la città a de Magistris. Perché? Anni fa Moretti chiedeva a D’Alema di dire “una cosa di sinistra”, ora si osanna Fedez che pare ne abbia detta una. Prossimamente su questo schermo.
*Editoriale pubblicato il 5 maggio 2021 sul Corriere del Mezzogiorno