«In quel quadrato di mondo Annone non intercettò un filo di disperazione. Non c’erano fabbriche rumorose, volti ermetici di operai incalliti dalle fatiche, massaie che si spaccavano i piedi sul selciato per riempire mezzo litro d’acqua. Pure i pescatori, che dal mare si arrampicavano in piazza Tasso scalando vicoli angusti, si portavano dietro una calma e una fiducia che i loro simili a Castellammare avrebbero solamente sognato; non c’erano sirene di fine turno, grida, muri diroccati e cortei di manifestanti del Fronte Popolare con i fazzoletti intorno al collo e la faccia di Garibaldi sbandierata ai quattro venti. Da quando era sceso dal treno il commissario si era imbattuto solo in una sfilza di manifesti con il simbolo dello scudo crociato. Erano affissi a ogni angolo della città e sembravano una corte di legionari pronta a contrastare l’avanzata dei rossi della penisola.  Su uno di questi, in parte annerito dalla pioggia, si leggeva: “Nel segreto della cabina elettorale Dio ti vede, Stalin no!”».

Castellammare, anche anni dopo quel periodo tempestoso, era considerata –  così la racconteranno i dirigenti nazionali del Pci calati con assiduità nella città – l’Emilia rossa in un Veneto bianco dove questo ultimo era esattamente la Penisola Sorrentina. Dopo il cantiere navale e Pozzano, appena entrati nella Statale 145, con il Vesuvio a destra che si specchiava nel mare, non cambiava solo il panorama. Che distanza siderale tra la tranquillità di Sorrento e la città delle fabbriche, dei partiti, della lotta politica, degli scontri, della cronaca ad un passo da diventare storia! Angelo Mascolo con il suo nuovo romanzo (“Il comunista”, Homo Scrivens editore, pagine 258, euro 15) fa di questo contrasto il pretesto per attraversare e scandagliare Castellammare e svelarne nel bene e nel male la sua valenza nazionale.

Il suo è un giallo, il secondo con il commissario Vito Annone, costruito come un congegno ad orologeria che ruota attorno all’omicidio del candidato del Fronte Popolare alla Camera nella settimana infuocata delle elezioni del 1948.

Rossi, bianchi e neri. Le macerie materiali e morali della guerra sono più che un ricordo anche se non si sentono più i fragori delle bombe sul cantiere navale e sulla città ma nuovi ordigni hanno minato l’unità nazionale, alimentato la divisione, avvelenato il clima politico. La campagna elettorale a Castellammare ne è la prova, il delitto di Catello Savarese, il candidato del Fronte, fa il resto.

Personalità complessa, una sorta di candidato “indipendente” di altri tempi, operaio del cantiere navale, sindacalista, intraprendente, orfano, un matrimonio eccellente che fa scandalo: sposa una donna ricca e bella, di una delle famiglie più in vista della citta. Mascolo fa dire a uno dei suoi personaggi: «Ai compagni poteva andare bene che uno di loro, uno che lo stesso partito aveva scelto per la sua lunga militanza nel sindacato, se la facesse con i borghesi?» (vent’anni dopo, tanto per stare ai ricordi personali, ancora faceva discutere che un giovane dirigente comunista potesse fidanzarsi con una ragazza di una nota famiglia democristiana).

Il commissario si muove in questo mondo. La sua investigazione mette a fuoco le varie ipotesi e si sviluppa in piena campagna elettorale fino a due giorni prima del voto quando con un colpo di scena, esemplare per il significato storico e politico, scopre l’assassino. Sul suo cammino incontra il fascista irriducibile che, finita la paura della sconfitta e approfittando della generosa amnistia togliattiana, baldanzosamente rialza la testa e le mani, l’imprenditore che di un orfanatrofio devastato da un crollo vuol fare un affare di cemento sul mare (tema ricorrente e sempre attuale nella città), il medico che disprezza i bolscevichi e chiede voti scambiandoli con promesse e favori, l’avvocato comunista, il professore del liceo classico trasformatosi in ghostwriter di Savarese… La fabbrica, i cortei, i pestaggi, le minacce, i depistaggi: lo sguardo di Mascolo mette a fuoco situazioni e persone ma soprattutto un clima incandescente, quasi una guerra come di fatto sostiene.

Ma era davvero una guerra? Era l’odio il sentimento prevalente? Si potrebbe rispondere affermativamente se si pensa soltanto che appena tre mesi dopo ci fu l’attentato a Togliatti che non si trasformò in un’insurrezione perché il segretario del Pci dalla barella ordinò ai compagni di stare calmi. In quei giorni a Castellammare accadde di tutto, si pensò addirittura, scarseggiando armi e bombe a mano, di prelevare del tritolo dalle cave di Pozzano. In realtà la “Stalingrado del Sud”, in sintonia con il paese, era dentro un passaggio della storia, dal sogno della rivoluzione proletaria alla piena consapevolezza democratica quando il partito che più di tutti aveva combattuto contro il fascismo e i nazisti l’acquisì nel 1956 con la linea della “via italiana al socialismo”. Un po’ alla volta se ne convinsero tutti, dal compagno che per anni, munito di martello e scalpello, andava in giro per i comuni confinanti e “cancellava” dai pali della luce gli stemmi del fascio, all’altro che, appena dopo la nascita dell’Msi, si fece espellere per aderire al neonato partito e rubare gli elenchi degli iscritti.

La città non era e non è mai stata monocolore. Neri, rossi e bianchi si sono battuti e confrontati, ma non solo odio e violenza, perché la passione politica e ideale è stata il sale e il pepe della sua storia. Il libro di Angelo Mascolo, un giallo ben scritto, con la precisione dell’archeologo qual è e il ritmo del podista, come quello sicuro e determinato del suo commissario, un personaggio ricco di dolore e di saggezza, ne racconta un bel pezzo. Annone è tornato e ne è valsa la pena.

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