Milioni di anni fa il mare addolciva i lineamenti della Valle dei Peligni, fino ad altezze che lasciavano in superficie le cime imperiose della Maiella, dei monti Porrara e Morrone. Poi la terra nel suo eterno e spesso traumatico sommovimento cambiò la fisionomia del territorio fino al profilo che ne abbiamo da molti millenni e che nel Museo Naturalistico di Lama dei Peligni fu ricostruito con un suggestivo plastico. Frequentando da una vita questi luoghi e ignorando la loro storia geologica non poca fu la mia sorpresa unita a diffidenza quando incontrai un abruzzese della costa, che s’aggirava su queste montagne con pochi attrezzi e che mi parlava di pesci e conchiglie che cercava rompendo con delicatezza le lastre di pietra: «Qui – mi diceva – c’era il mare, questa di Palena era una laguna».
Si chiamava Erminio Di Carlo, classe 1935, la sua Fiat Panda 4×4 del 1985 aveva percorso 600mila chilometri, tanti anche quelli conservati nelle sue gambe abituate a scalare. Una singolare storia, la sua. Era di Arielli, sulle colline che scendono verso Ortona. Faceva l’imprenditore e dava lavoro a una trentina di persone, poi per una serie di disavventure finì male, perse la voglia di stare tra la gente e si riparò tra le pietre. L’intuito fece il resto, quando si rese conto che tra le stratificazioni della parete che precipitava sull’area della sorgente dell’Aventino si nascondeva una straordinaria storia geologica. Iniziò così a sfogliare con metodo le pietre aprendole come un libro e scoprendo tesori inaspettati: una conchiglia, un pesce, il dente di uno squalo, una foglia o anche l’animaletto conservato nel corso di milioni di anni.
Quest’animaletto, meno noto di Ciro, il piccolo dinosauro star di Pietraroia nel Sannio, ebbe nome Prolagus. In venti centimetri sono perfettamente conservati il cranio, la colonna vertebrale, le sottilissime costole, le zampette e la coda, insomma otto milioni di anni e non sembra. Ma quando questo fossile, come ha fatto con tutte le altre sue scoperte (“sono solo un paleontologo autodidatta”), lo sottopose ai professori Paul Mazza, Marco Rustioni e Giuseppe Aruta dell’Università e del Cnr di Firenze, le conclusioni furono emozionanti: «Da piccoli dettagli, come la mancanza di ossa alle estremità o il diverso colore della roccia attorno allo scheletro, si può ritenere che l’animale, un coniglio di quei tempi, sia morto cadendo in acqua e la carcassa abbia galleggiato a lungo, finendo poi in una spiaggia fangosa. Le abitudini di Prolagus la dicono lunga sull’antico clima di Palena, caldo e umido, e sull’ambiente, ricco di foreste. Lo studio, infine, delle differenze tra la specie vissuta sulla Maiella e le altre scoperte altrove permettono di stabilire che un ampio tratto di mare isolava i monti abruzzesi dal Gargano».
Ma dove finiva tutto quello che Di Carlo trovava? In un deposito, una sorta di museo privato con oltre duemila reperti, nella sua casa di Arielli. Il sogno veleggiava più su, verso Palena: un museo. Durò anni, al principio pochi gli credevano, qualcuno sospettava anche chissà quali interessi, ma bastava conoscerlo da vicino per sapere quanto poco gli importasse il denaro (rifiutò i 154mila marchi che un collezionista tedesco voleva dargli per il “coniglietto”) e che la sua era una missione dentro una vita spartana, quasi francescana: a malapena riuscì a rendere abitabile un malmesso rudere dalle parti del fiume Aventino. Angustie finanziarie mentre le riviste scientifiche internazionali gli dedicavano servizi a più pagine e la Soprintendenza archeologica della provincia di Chieti decideva di sostenerlo. Così, prima in una sala attigua al teatro comunale di Palena poi dal 2001 nello splendido Palazzo Ducale, è stato realizzato il Museo Geopaleontologico dell’Alto Aventino dove si riscoprono le origini remote di questi luoghi, un viaggio all’indietro di oltre una mezza dozzina di milioni di anni.
Se ne può avere un assaggio in un video di Nando Napoleone, memoria visiva e scritta di Palena e i suoi vasti dintorni, degli uomini e della natura, delle storie e delle tradizioni. Fu realizzato un anno fa per il Comune di Palena e, con l’ausilio del geologo Paolo Pitzianti, descrive le “sorgenti di Capo di Fiume” (dove nasce l’Aventino dopo un viaggio sotterraneo di qualche chilometro), il sito (le pietre che Di Carlo indagava) e il Museo. Un anno dopo, il 22 aprile scorso, il Parco della Maiella e quello dell’Aspromonte in Calabria sono entrati nella rete globale dei Geoparchi dell’Unesco.
Ho detto della mia antica amicizia con Erminio Di Carlo. E quando ho visto il documentario di Napoleone ho pensato a due cimeli di quel lontano tempo. Sono due fossili che Di Carlo volle regalarmi e che da almeno trent’anni sono religiosamente esposti su una parete di casa mia: una foglia impressa per ambo i lati su due pezzi di pietra “sfogliata” nel sito geologico di Palena e la punta di un dente conservata in una pietra. Questo secondo reperto è corredato da una didascalia che mi dettò lo scopritore: “Dente di carcharadon carcharias (squalo bianco) età presumibile: 5 milioni di anni, trovato in una depressione della Maiella: cava di Lettopalena”. Ho anche pensato al museo e mi sono chiesto se fosse più giusto goderne noi della famiglia e gli amici o farli fruire a tutti in un contesto più congeniale. E così, non senza sofferenza per il carico di valore e di memoria, i due fossili lasceranno presto la mia abitazione napoletana e saranno donati al museo. Sarebbe piaciuto a Erminio e, soprattutto, tornano a casa loro.
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