di FLORIANA GUERRIERO
«Non ero andato in Puglia per convertirmi e non mi sono convertito. Sui miracoli ho le mie opinioni e non sono cambiate. Ma un miracolo io lo trovai e lo raccontai e credo che sia il vero grande miracolo di Padre Pio». È uno sguardo sempre rispettoso ma profondamente laico quello che il giornalista Matteo Cosenza consegna ai suoi lettori, chiamato a raccontare come cronista del Mattino la sua ascesa agli altari. Sarà il direttore del Mattino a sceglierlo inaspettatamente per il difficile compito di raccontare la veglia dei trent’anni dalla morte e poi il lungo cammino fino alla proclamazione a santo. Comincerà allora il tentativo di comprendere il miracolo della fede, a partire dalla capacità di San Pio di muovere le folle.
«Quando scesi dall’auto davanti all’Hotel degli Angeli avevo chiaro quello che avrei fatto. Guardare, cercare, capire e raccontare stando sulla soglia, in punta di piedi con curiosità e rispetto». A prendere forma tra le pagine sono le tante storie del popolo di Padre Pio, uomini e donne in attesa di grazia, studenti orgogliosi del proprio santo o medici agnostici. C’è chi viene qui da sempre e chi arriva a San Giovanni Rotondo per la prima volta. Fin da quella veglia di preghiera a trent’anni dalla morte il 23 novembre 1998 Cosenza comprende bene come di fronte a lui c’è il popolo dei deboli: «Anziani in cerca di certezze, ammalati, persone preoccupate per la salute di qualche caro, portatori di handicap, tanti esclusi che in una società che alle soglie del Duemila trasmette messaggi di opulenza, avvertono tutta la fragilità della vita, si sentono minacciati dalla violenza, dal dolore».
Con una candela, un rosario, un libretto sono quasi insensibili al freddo. Ripetono che «siamo più vicini a Dio attraverso Padre Pio». «È uno dei profeti di questo nostro secolo nel quale ci sono tanti falsi profeti». Donne come Rosanna Bani che da cinque viene a San Giovanni Rotondo: «Non chiedo niente, salvo che mantenere la fede e la serenità. Qui mi sento una spinta, una carica». Un racconto nel quale entrano con forza anche le storie di miracoli, come quello di Consiglia Di Martino e della sua guarigione inspiegabile, di Wanda Poltawska, affetta da un tumore alla gola, Papa Wojtyla chiese a Padre Pio di pregare per lei, per poi informarlo che la dottoressa Poltawska «prima di entrare in sala operatoria è misteriosamente guarita». Sarà, poi, la dottoressa polacca a visitare la tomba e a scrivere sul registro dei pellegrini: «Sono felice per questo giorno. Il Santo Padre mi ha detto che ogni giorno prega per la canonizzazione di Padre Pio». Ma è anche un universo in cui c’è chi continua a specula-re sulla fede per Padre Pio, la cui imma-ine viene venduta in ogni dimensione, come spiega Padre Pacifico Giuliano, direttore della Libreria di Padre Pio: «Non se ne può più. Stamattina è venuto uno che voleva comprare l’olio di Padre Pio, gli ho detto di andare al supermercato. E poi chi vuole il profumo, chi la tabacchiera».
Senza dimenticare gli alberghi, i negozi, i ristoranti che hanno occupato tutto ciò che si poteva attorno al santuario. Cosenza non esita a parlare di scempio, dal progetto di costruzione di 91 alberghi per portare i 1800 posti letto e ad oltre seimila agli indici di fabbricabilità saltati, fino alle deroghe al Piano Regolatore con gli alberghi fatti passare per opere di pubblica utilità. Il tutto intorno alla chiesa di Renzo Piano, autentica meraviglia dell’architettura contemporanea. Quello che non è Pietrelcina, dove la comunità ha scoperto tardi la portata del fenomeno Padre Pio e fa ancora fatica a farci i conti, a rispondere alla forte domanda di turismo religioso. Eppure Pietrelcina con la sua dimensione francescana è ancora una tappa fondamentale dell’itinerario di fede, dove si continua a respirare il senso più autentico della fede.
Un racconto, quello di Cosenza, che non può dimenticare il tripudio di fuochi d’artificio, i 50.000 fazzoletti e cappelli che sventolano nella piazza di San Giovanni Rotondo per salutare la beatificazione di Padre Pio mentre trasmettono le immagini del Pontefice in Piazza San Pietro do-ve sono altri tremila sangiovannesi fino all’esposizione della statua in chiesa «poiché ora che è beato è finalmente possibile». O ancora l’incontro con i pellegrini in marcia dall’Abruzzo verso Monte Sant’Angelo per pregare nella grotta di San Michele fino al manipolo di fedeli guidati da Padre Antonio Gambale che marciano a piedi da Pietrelcina a San Giovanni Rotondo per ricordare i tanti pellegrinaggi a piedi che i pietrelcinesi facevano da decenni su carri, muli e biciclette per andarlo a trovare a San Giovanni Rotondo e il trasferimento in elicottero della statua della Madonna della Libera dalla chiesa madre alla sala della tomba del beato. Tra loro c’è anche chi come Egidio Cavallucci è un medico dell’ospedale Rummo di Benevento, da sempre schierato a sinistra, che non esista a definirsi ateo: «Mi intriga la sua figura per le masse che mette in movimento. La fede non ce l’ho, semmai invidio loro che ce l’hanno. Io faccio l’anestesista rianimatore e sono a contatto con la morte. Quando in una notte spirano tra le due braccia tre persone io ne esco distrutto e senza spiegazioni, mentre vedo i parenti addolorati e sereni perché hanno la fede». Non ha dubbi Cavallucci: «La fede è l’unica ancora in grado di dare speranza agli ultimi».
Poi la decisione di Wojtyla, il 16 giugno del 2002 Padre Pio è proclamato santo, è il padre guardiano del convento di Santa Maria delle Grazie a mettere in guardia: «La Chiesa ci propone i santi per imitarli e non certo per i loro miracoli. Ora dobbiamo essere in sintonia con gli insegnamenti che ci ha lasciato Padre Pio». Poi la folla straripante e commossa di San Giovanni Rotondo che ha fatto sì che il momento religioso avesse il sopravvento su tutto in occasione della proclamazione di Padre Pio a Santo, al di là dei timori della vigilia di isterismi e fenomeni da baraccone. In sessantamila provenienti dalla provincia o ancora da Puglia, Basilicata, Calabria, Campania, ligi alle regole, perché tutti possano partecipare alla festa. E anche in quella cerimonia di festa la sofferenza è palpabile, la si vede nelle 250 carrozzelle dell’Unitalsi, circondate da centinaia di volontari o ancora negli ammalati affacciati alla Casa sollievo della sofferenza, altra opera straordinaria realizzata da San Pio. «Qui è la civiltà – ricorda Cosenza – perché in questo luogo i diversamente abili sono persone e vengono prima degli altri». Sofferenza che è nella storia di San Pio e nel corpo del pontefice Wojtyla, piegato e dolente nell’annunciare il nuovo santo e nel rivolgere a lui una preghiera toccante: «Umile e amato Padre Pio insegna anche a noi l’umiltà del corpo».
Poi la sfida del grande architetto Renzo Piano di realizzare un luogo di culto di massa che valorizzasse lo spazio della fede. Piano tentenna, per lui non ha senso quella richiesta dei frati di costruire la chiesa come uno spazio che non sia di raccoglimento. Infine la scelta di cimentarsi in quel progetto che sembra impossibile. Oggi sorge a valle della chiesa dove Padre Pio si affacciava dalla sua cella lungo un tratto scosceso. «La pietra degli archi, il legno della copertura, l’armonia delle linee trasmettono l’immagine di una conchiglia che deve racchiudere uno spazio di religiosità». Ma è lo stesso Piano a mettere in guardia: «Mi auguro che questa chiesa venga difesa. La scommessa è di far vincere il bene sul male, di far tacere i mercanti del tempio e di avere un dialogo con sé stessi».
* Articolo pubblicato il 29 novembre 2020 sul “Quotidiano del Sud” edizione irpina