La luna di miele è già finita anche se questa prevedibile svolta non cambia il quadro politico: De Luca è stato appena eletto presidente della Regione e ha davanti a sé cinque anni di governo assicurati da una salda maggioranza. Dunque, almeno da questo punto di vista non ha nulla di cui preoccuparsi. Ora, però, rischia di vedersi ritorcere contro la sua forza, che era consistita in una comunicazione esagerata ma efficacissima in un momento di grande emergenza per il paese. Durante quei mesi che sembrano già lontani, per una serie di circostanze la Campania era riuscita a cavarsela, pur con perdite, come meglio non poteva, tanto da conquistare consensi e apprezzamenti nazionali e internazionali: il voto quasi plebiscitario ne è venuto di conseguenza.
Appena pochi giorni fa De Luca aveva minacciato di chiudere tutto se si toccava la soglia dei mille contagi. È stato di parola. Siamo di nuovo entrati nella fase del “serrate le file”, si è incominciato dalla scuola, già martoriata dalla pandemia come se non di più dell’economia e anche dalle ricorrenti chiusure per pioggia e vento particolarmente temibili per la nota assenza di manutenzione generale della città.
Ormai è chiaro che si procederà anche in altre direzioni ma per ora, fino a nuove ormai inevitabili limitazioni, sono gli studenti, i docenti, il personale ausiliario a rimanere a casa. E poiché non c’è l’obbligo di restare nelle mura domestiche, alcune decine di migliaia di persone potranno circolare non si sa con quante garanzie di sicurezza collettiva maggiori rispetto allo stare in scuole dove comunque, pur con qualche pecca, vigevano misure di prevenzione più dettagliate e imposte a tutti. Si spera nella paura, che sembra già produrre i suoi effetti, e anche nel fatto che tanta gente non sarà costretta a utilizzare il trasporto pubblico nelle stesse ore. D’altro canto lo sfascio del sistema dei trasporti è tale da non consentire programmi graduati di utilizzazione.
Teoricamente fa bene il sindaco de Magistris a lamentare che Napoli, la città la cui importanza nel contesto regionale è scontata, sia tenuta fuori perfino dalle consultazioni sulle misure anti-pandemia. E sempre teoricamente il presidente De Luca sbaglia a decidere tutto anche per suo conto (il concetto si può estendere ad altri comuni). Nella pratica si ripete anche in una fase così difficile e drammatica uno scontro antico che ha nuociuto a tutti e di cui ora, per quanto si sia alla vigilia delle elezioni amministrative nel capoluogo, non si avverte il bisogno.
In questi giorni si discute a tutte le latitudini del nuovo sindaco di Napoli: scenari, ipotesi, alleanze, nomi, chi più ne ha più ne metta. E si attende la prossima primavera, quando si voterà, come una sorta di panacea per tutti i mali accumulati in questo decennio (a ben vedere la datazione dovrebbe essere estesa molto più all’indietro, almeno al tempo delle montagne di rifiuti fino ai primi piani dei palazzi)). C’è da chiedersi: ma come ci arriviamo a quell’appuntamento? Che si fa ora e qui? Possiamo chiedere all’irresponsabile virus di farsi carico delle nostre alchimie, delle nostre divisioni, delle nostre strategie per il mondo che sarà?
Forse può servire il ricordo di una persona e della lezione che diede. Quando Napoli fu investita dal colera si creò una situazione drammatica, benché non estesa come quella attuale che non ha confini e certezze. Il Comune di Napoli non so se stava in condizioni migliori di quelle attuali, sta di fatto che il sindaco democristiano e la sua amministrazione potevano essere travolti dalla congiuntura che si era determinata. Ebbene, un avversario politico, il comunista Andrea Geremicca, mise da parte la consueta polemica politica e lanciò un messaggio chiaro: ora è il momento di agire, di essere uniti per superare l’emergenza. E così fu. Ricordate le ordinatissime e lunghissime file per la vaccinazione? Avete presenti gli infermieri inventati al momento, perché solo militanti politici, che facevano vaccinazioni non avendo titolo per farle? Tra “l’angoscia e la speranza” l’arma fu l’unità, il tirarsi su le maniche nell’interesse collettivo che al momento era preminente. Sarebbe bene far tesoro di quell’esperienza perché da lì si potrebbe ricavare anche maggiore impulso alla responsabilità dei singoli cittadini che, tra titubanze e scetticismi e anche tanti cattivi maestri, in questi mesi hanno abbassato la guardia. Non tutti, naturalmente, altrimenti la situazione sarebbe ben più grave, ma sono stati abbastanza per farci ripiombare nell’incubo.
Editoriale pubblicato il 17 ottobre 2020 sul Corriere del Mezzogiorno