D’accordo, maledetta napoletanità! L’invettiva di Gigi di Fiore riassume un sentimento ricorrente e rinverdito all’infinito. E ritorna il tema del restare o andarsene, al quale si acconcia opportunisticamente anche chi solo per lavoro se ne allontana. Poi c’è Pino Daniele, emblema di Napoli e in conflitto con essa perfino nella scelta della tomba. Bene, parliamone ma dobbiamo sapere che lo si fa da sempre e senza risultati tangibili sul nostro modo di essere, sulle condizioni della città, sulla sua vivibilità, sulla sua incerta modernità. Piuttosto chiediamoci altro.
Vedete, questa vicenda per molti versi allucinante della Tangenziale ci dice molto di più dei disagi che poi metabolizzeremo come i tanti a cui abbiamo fatto il callo. Ci racconta una città ferma, bloccata o sul punto di esserlo a ogni alito di vento contrario. Direte, ma c’è la metropolitana delle meraviglie, il museo a cielo coperto e anche scoperto come, strabiliati, vedremo tra un po’ ai Quattro Palazzi. Salvo a imprecare per i treni che mancano, per gli allagamenti inconcepibili, per i guasti continui, per le corse saltate, per i vagoni strapieni. E, dopo quasi mezzo secolo, aspettiamo ancora che sempre un treno della metropolitana, come avviene in tutte le città d’Italia e del mondo che ne abbiano una, conduca noi e i benedetti turisti all’aeroporto. Di un’altra linea, la famigerata ex Ltr, non si vede ancora la luce sebbene la sua turbolenta realizzazione abbia attraversato quasi mezzo secolo e e rischi di fare altrettanto con l’attuale. Stop, però, a questa scontata litania, alla lamentazione che non modifica di un millimetro lo stato delle cose e che anche il sottoscritto fa quasi con un “copia e incolla” di cose già scritte e riscritte. Piuttosto focalizziamo un altro punto.
Sono andato a rivedere qualche giornale del secolo scorso, compreso qualcuno a cui diedi un po’ di me, ho ripreso in mano opuscoli e libri di un tempo che ormai sembra preistorico, per confrontare l’oggi con l’ieri non solo per capire come eravamo ma anche per cercare, se c’era e se c’è, la direzione di marcia che seguiamo ai nostri giorni. Dico subito, onde evitare che mi venga mossa l’obiezione, che scandali e corruzione non mancavano, e che le “mani sulla città” non erano solo il titolo di un film straordinario, ma non posso non constatare che da trent’anni Napoli non ha progettato quasi più niente. Le grandi opere, a partire dalla nostra dolente Tangenziale che la Dc volle e il Pci osteggiò, sono quelle che il trascorrere del tempo ha reso insufficienti. La mente visionaria di un Luigi Buccico, che in Valenzi trovò il complice della “banda del buco” e che disegnò la linea 1 della Metropolitana, sembra appartenere a un altro mondo. E che dire del Centro Direzionale, che ha mutato anche lo skyline della città e che volle Servidio con il quale si confrontarono Andrea Geremicca e tanti politici-intellettuali di quel tempo! Ma pensate anche, volendoci allontanare dal centro, a quale inferno, che a tratti pure c’è, nella viabilità attorno al capoluogo se non si fosse concepito e realizzato l’asse mediano. Ci metto dentro, scusate la provocazione, la battaglia per ammodernare l’Italsider di Bagnoli, purtroppo diventata vecchia nel momento in cui era diventata un gioiello, al cui posto oggi c’è un deserto che inchioda le attuali classi cosiddette dirigenti alle loro responsabilità. Sto anche sfogliando i volumi che raccolsero il dibattito e le proposte del tanto contestato “Regno del Possibile”, di cui si può dire tutto il male possibile e ricordarne la controversa accoglienza ma di cui non si può riconoscere la ricchezza di soluzioni per il futuro della città a partire dal centro storico e per finire alla sua viabilità. Ne ricordo una che in questi giorni mi sembra di una stringente attualità: una strada sotterranea da via Acton fino al Consolato americano che, come avviene nelle grandi e moderne città del mondo da decenni, avrebbe consentito di liberare, e per davvero, la linea litoranea di Napoli dalle auto e creato, con gli opportuni raccordi, un collegamento funzionale e alternativo alla Tangenziale.
Progetti. Tanti. Condivisibili o no. In ogni caso idee sul futuro di Napoli. Ditemi oggi quali sono i progetti per la nostra città del domani se non il faticoso e a tratti scandalosamente lungo completamento di opere progettate e avviate tanti anni fa. Bene il richiamo costante alla cultura, al nostro inestimabile patrimonio materiale e immateriale, alla manutenzione ordinaria che migliorerebbe la nostra quotidianità; vada pure avanti il dibattito sulla napoletanità, sempre fecondo di parole e non di fatti; si esaltino lo sbarco di folle di turisti a caccia di esotismo e il proliferare di friggitorie che sostituiscono negozi prestigiosi che un tempo facevano accorrere acquirenti competenti da ogni angolo del Mezzogiorno: ma poi? Il fatto è che una città che non ha progetti e non ha sogni se non il primato della sua squadra di calcio, è come il paese che non fa più figli. Non crede nel futuro e se ne sta, silente e paziente, in coda su una strada.
Articolo pubblicato sul Corriere del Mezzogiorno il 29 ottobre 2019