Cominciamo dal dato che solitamente, ma non sempre, si mette tra parentesi: il prezzo. Cinque euro, che questo prezioso libretto, che sta bene in una tasca della giacca, li vale abbondantemente. È una deliziosa e colta escursione nel mondo dei profumi con una chiave inedita. Questa volta Carlo Avvisati, giornalista e studioso, ha fatto i conti con Ovidio, il poeta della “Metamorfosi” e dell’”Ars amatoria” “relegato” per punizione in Romania e riabilitato solo duemila anni dopo, nel 2017, dal consiglio comunale di Roma. E lo riabilita a suo modo anche Avvisati compiendo un’operazione ardita e suggestiva: la traduzione in napoletano del “Medicamena faciei femineae” (“ll’arte ‘e se pittà”, Arte’m editore). Al titolo è aggiunta un’ulteriore specificazione, “L’arte del trucco tradotto in napoletano”, perché il testo ovidiano («di cui resta un frammento di cento versi», ci ricorda Concetto Marchesi) viene scandito dal ritmo delle strofe (ogni strofa un distico), riunite a gruppi: per ognuno dei quali c’è il testo latino, sotto quello in italiano e a nella pagina a fronte la versione napoletana. Inutile dire che è un interessante e divertente esercizio, specie per chi il latino lo studiò a scuola, confrontare i tre testi e comprendere fino in fondo la peculiarità della traduzione in napoletano che non è, e non poteva essere quella letterale: ne avrebbe perso efficacia e freschezza, forse sarebbe risultata incomprensibile se non impossibile.
Vediamo che succede. Per esempio il pavoneggiarsi: Scrive Ovidio: «Laudatas hominis volucris pinnas explicat, et forma muta superbita vis”. In italiano: «L’uccello sacro a Giunone fa la ruota con le penne ammirate dall’uomo e insuperbisce tutto con la sua muta bellezza». La versione di Avvisati: «Vuie facite lu pavone ca pe ll’ommo cheja la rota, e nne regne d’arbascia, zitto, ll’arma, là pe llà». E così si procede, passando poi da un intruglio all’altro. E se il napoletano risultasse più “difficile” del latino le note vi salveranno con aggiunte preziose, per esempio saprete che ‘ncannaccate sta per «appendete al collo, da ‘ncannaccare (dall’arabo kannaqa: collana di perle o granate» e che le «prete sono pietre preziose».
A parte le dotte e amichevoli presentazioni e prefazioni di Stefano De Caro e Pietro Gargano e le considerazioni dell’autore, di quest’ultimo va sottolineata l’escursione, quasi un saggio finale, sul mondo dei profumi, delle creme e dei belletti dalle prime apparizioni a oggi, dalla Bibbia a Plinio il Vecchio, da Roma alla Persia, dall’Egitto a Capua «quando non era ancora città romana ed era tra le capitali profumerie dell’epoca». Dov’è chiaro che cambiano, e non sempre le tecniche, se solo si ricorda che col dropex a base di pece, praticamente una ceretta, avveniva la depilazione, ma non muta il desiderio di bellezza che è legata al trucco e ai suoi segreti. Segreto per segreto, chiudiamo con due distici di Ovidio, ma solo con il testo in dialetto napoletano e chi non capisce pazienza: «’E marite ca tenite, mo’ so tanti ‘nnacchennelle e, stentanno, putarrite mette’ ‘a ‘coppo, p’èsse’ belle… Nteressa ca ve prucurate nuvielle nammurate e lle vulite bene! Pecché si uno è scicco, de córpa nun ne tene».